“La mazza frissa” preparata principalmente con la panna “lu pizu”, ottenuta dalla scrematura del latte intero, e messa sul fuoco all’interno di una pentola, con aggiunta di semola e sale, la si mescola continuamente finché non ha assunto un aspetto cremoso. Si può mangiare semplicemente da sola, con l’aggiunta di zucchero o miele, o come condimento per gli gnocchetti e le favette fresche. Se a fine cottura si aggiunge del formaggio vaccino fresco tagliato a dadini, si ottiene un altro piatto della tradizione aggese chiamato: “lu casgiu furriatu”.

Ingredienti per 6 persone: 500 g di panna (meglio se leggermente acida) – 50 g di semola di grano duro – sale q.b.

Versiamo la panna in un tegame che mettiamo sul fuoco a calore medio; mescoliamo continuamente con un cucchiaio di legno, perché non bruci, fino all’ebollizione; a questo punto aggiungiamo gradualmente della farina di grano duro e un cucchiaino di sale fino. Se l’operazione è stata eseguita correttamente, si ottiene la separazione della parte proteica del latte da quella grassa. L’amalgama che si va formando inizia a ‘sudare’, eliminando il grasso eccedente contenuto nella panna. Dopo circa quindici minuti dall’ebollizione si ha nella pentola una massa consistente e morbida (la Mazza frissa) e un fondo oleoso (Ozu casciu). L’olio viene raccolto in un contenitore idoneo alla conservazione.
Nel tegame, nonostante l’attenzione profusa nella preparazione, rimane solitamente il fondo di cottura bruciacchiato (l’attentu o razzicu), questo è per tante persone, migliore di tutto il resto (era particolarmente conteso dai bambini).
Curiosità:
Che faccia parte della nostra tradizione gastronomica non vi sono dubbi, sono rimaste infatti alcune espressioni legate alla vita di ogni giorno e che ad essa si richiamano; si diceva infatti: sudatu come una mazza frissa ad una persona il cui viso era imperlato di sudore; e ancora: pari una mazza frissa, a chi appariva gonfio e flaccido. Inoltre era viva fino a pochi anni fa, la tradizione di preparare la mazza frissa per il pranzo o la cena di San Giovanni (24 Giugno, giorno magico per eccellenza). Dopo averne mangiato in abbondanza senza bere alcunché, si doveva andare a letto. Il sonno sarebbe stato ricco di sogni premonitori soprattutto per i giovani in attesa dell’anima gemella, la persona che nel sogno avrebbe soddisfatto l’arsura che inevitabilmente si manifestava, avrebbe avuto il nome del futuro marito, o della futura moglie.

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