02/01/2016

Che nell’Isola di Sardegna l’Arma abbia consolidate tradizioni è un dato storico che nella memoria collettiva degli isolani ha segnato una traccia indelebile.
Ciò soprattutto per l’insediamento capillare delle stazioni, situate persino nelle comunità di poche centinaia di abitanti, a tutela di un ordine pubblico interno che dalla nascita dello Stato Unitario non è mai venuta meno e solo oggi, in tempi di crisi della spesa pubblica, potrebbe essere rivisitata drasticamente.

Nei sardi, dunque, il carabiniere ha rappresentato lo Stato per antonomasia, la tangibilità del Potere, un funzionario spesso più importante e autorevole del sindaco, espressione popolare aggrappata al localismo e succube dei potentati politici dei centri urbani. Non a caso, allora, semplificando si potrebbe sposare la tesi, quasi un detto popolare presente in tutte le nostre contrade, che i giovani sardi scoprivano una loro identità proprio raffrontandosi con il carabiniere: contro di esso o a suo favore, determinati e fedeli alla causa con identica energia e vigore, sia che essa fosse la difesa dell’ordine e della legge, sia che ne fosse il sovvertimento nella delinquenza e nella latitanza.

L’autrice di quest’opera, senza particolari artifizi letterari, sulla scorta delle dettagliate memorie paterne rappresenta mirabilmente il sardo che ha saltato il guado nella prima di quelle direzioni, il giovane che ha scelto di schierarsi in difesa degli interessi collettivi, della patria nel momento della sua espansione coloniale, e porta avanti fino in fondo “con trasporto e salda fedeltà” il compito che si è assunto.

La sua precisa ricostruzione storica offre al lettore uno spaccato di storia, tasselli di vita vissuta sempre sul filo di lama, impregnata di un’etica pari a quella di eroi blasonati dall’iconografia bellica e patriottica. Il contesto che contorna le gesta del “carabiniere sardo”, il suo inserirsi ed imporsi in realtà cosmopolite come la Costantinopoli del 1919 e poi Mogadiscio e l’Africa coloniale tutta, dà luce alla forza morale del protagonista, dotato del coraggio di chi ha coscienza di vivere accadimenti di portata tale da superare la materialità del momento.

Nelle memorie di quest’uomo, essenziali ed eleganti, non traspare tuttavia neppure un segno di cedimento al compiacimento per le azioni portate a buon fine in situazioni estreme, né per le prestigiose onorificenze attribuitegli di conseguenza; nulla traspare che possa tingere quelle azioni di esaltazione per la preminenza dell’italianità che in quel periodo storico pure si spargeva a piene mani fino alla tragedia della seconda guerra.

Anche quando si descrive al comando di stazioni nel deserto, costituite esclusivamente da militari indigeni, il “carabiniere sardo” è semplice dipendente dello Stato, fiero soltanto, come la gente della sua nativa Gallura, di riuscire a farsi rispettare da subordinati e superiori, mai incline ad imboccare le scorciatoie della vita ma pronto ad affrontare, di petto, gli eventi che il destino gli riservava. Matteo Sanna è evidentemente un sardo che si è fatto grande ma ha poi convissuto con la propria grandezza come fosse ordinarietà, un uomo che dopo la loro conclusione, solo per non consentire che la senilità lo privasse dei ricordi, ha messo per iscritto gli avvenimenti straordinari della sua vita, compreso quello di esser divenuto amico personale dei figli dell’ultimo sultano turco e perciò incaricato dal governo di accompagnarli ovunque nel loro soggiorno italiano.

Arruolato nel ’12, dopo tante esperienze difficili gli è concessa la prima licenza nel ’29. A diciassette anni dalla partenza rivede la sua terra, in un ritorno che, si intuisce, segna la fine dei suoi slanci giovanili verso l’estero e, a panorami quali “il meraviglioso e incantevole” porto notturno d’Oriente, gli fa preferire il rimpatrio, la famiglia, un impiego nell’amministrazione che comunque valorizzi le sue notevoli capacità di contabile – persino per gli alleati, in moneta inglese, sottolinea negli appunti.

Il “carabiniere sardo” ritrova infine le radici nella sua Aggius arroccata fra i graniti, e lì vive nella “speranza di un altro mondo migliore, senza guerre e di eterna pace” e in quest’ottica ripensa nell’intimo al proprio passato, al pari dell’altro ben più noto condottiero che, nei silenzi della vicina Caprera, rielaborò le sfide vissute da servitore della nazione per il raggiungimento dell’Unità.

Anna Castellino

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